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Il Setting non è soltanto l’allestimento scenografico dal quale proviene il termine anglosassone. Il Setting in psicologia riguarda l’ambiente dove si svolge la relazione psicoterapeutica: uno esterno relativo al luogo, alla mobilia e le suppellettili necessarie per la seduta ma, soprattutto, un ambiente interiore, quello del professionista e che attiene alla sua congruenza. Ovvero la piena coscienza da parte di questi, delle proprie reazioni emotive e dei propri sentimenti, con pieno accordo con se stesso nella capacità di esprimere i propri bisogni, i sentimenti e le proprie aspirazioni. Questo prevede il prendersi il giusto tempo per riflettere e comprendere quel che l’Altro è in grado di ascoltare e recepire, scegliendo il momento migliore, avendo cura del modo in cui glielo dirà.
Nella relazione, il terapeuta rogersiano è una persona trasparente e autentica, capace di esperire la realtà interiore ed esterna senza distorsioni di sorta, essendo ben in contatto con le proprie emozioni e sentimenti, e, conoscendo se stesso, ne conosce bene i limiti. Ben attento a non proiettare sull’Altro parti che appartengono al suo Sè e non al Sè del Cliente. Il terapeuta non critica, censura o giudica nell’accezione negativa del termine, poichè gli son necessarie quelle doti di giudizio per comprendere e poter monitorare quello che avviene all’esterno e e nel suo setting interiore.
L’accoglienza positiva ed incondizionata prevede di accogliere in pieno ciò che il Cliente porta al terapeuta, poichè quest’ultimo, esclude qualsiasi tipo di giudizio, sia in senso positivo che in senso negativo. I sentimenti così perdono le connotazioni che sono date comunemente per convenzione e vengono accettate o meglio rispettate, come una parte di sé, che non può essere negata, rimossa o oggetto di vergogna. Nel momento in cui il terapeuta accetta quello che gli porta il Cliente, quest’ultimo sarà in grado di accettare sé stesso, e proprio questo è il primo passo verso una maggiore consapevolezza del proprio mondo interiore ed il primo passo verso il suo cambiamento.
Con l’empatia (come richiama l’etimologia, en pathos), il terapeuta Rogersiano, riesce a vedere/sentire il mondo come lo vede/sente il Cliente; ne comprende così la cornice di riferimento, rimandandogli attraverso una riformulazione quello che ha visto/sentito per mettere in condizione il Cliente di raggiungere un livello ancora più profondo, favorendone l’introspezione.
Un altro elemento fondamentale è che il terapeuta abbia fiducia e creda fermamente nelle potenzialità del cliente di risolvere il suo problema e attraverso la propria tendenza attualizzante, e che, di conseguenza, lo porta a rifiutare qualsiasi forma di direttività. I Rogersiani non danno consigli e questo, all’inizio può essere percepito spiazzante per il Cliente che tende a volere dal terapeuta una soluzione rapida ai suoi problemi. I consigli, infatti, sono particolarmente dannosi, in quanto mettono il terapeuta nella posizione dell’esperto, creando dipendenza e non favorendo la tendenza attualizzante del cliente.
Come dire: “non dare un pesce a chi ha fame, ma insegnagli a pescare”.
(Psy Dr. Laura De Pasquale)
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(Seduta di Carl Rogers e Gloria)
interessante articolo grazie 🙂