Un’interessante ricerca del Prof. Emanuele Jannini per SuperQuark di Piero Angela sui segreti dell’orgasmo femminile.
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Un’interessante ricerca del Prof. Emanuele Jannini per SuperQuark di Piero Angela sui segreti dell’orgasmo femminile.
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Amore e Psiche di Antonio Canova
sulle note di W. A. Mozart Piano Concerto No.23 In A Major, K 488
Una fantasia di colibrì e farfalle colibrì sulle note di W. A. Mozart piano concerto op. 21
Una riflessione dettata dal buon senso, sulla nostra e al momento unica casa: la Terra.
“È qui. È casa. E’ noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, ha vissuto la propria vita.
L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche così sicure di sè, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di Civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra Specie è vissuto lì su un granello di polvere sospeso dentro ad un raggio di sole.
La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria ed il trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un punto. Pensate alle crudeltà senza fine impartite dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti i loro malintesi, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio.
Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro Pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico.
Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è nessuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare sì, colonizzare non ancora.
Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’Astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo Mondo?!
Per me sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro e di preservare e proteggere il pallido punto blu: l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.” (Carl Sagan)
(by Admin)
In psicologia si distinguono l’empatia affettiva che è la capacità di condividere o “simulare” dentro di sè lo stato d’animo altrui e l’empatia cognitiva che riguarda la comprensione concettuale degli stati mentali degli altri. Queste due facoltà portano alla cura empatica che è quel sentimento di sollecitudine verso chi è in uno stato di bisogno e/o sofferenza che porta ad agire per alleviarne il disagio.
Diversamente dalle altre facoltà mentali, quella associata all’empatia interessa varie aree del cervello che sono coinvolte nella partecipazione affettiva alla sofferenza altrui. Aree ben distinte da quelle che intervengono quando sopraggiunge un sentimento di cura e protezione verso la persona con cui si empatizza.
Gruppo incontro:
Fin dalla notte dei tempi gli individui di specie diverse hanno teso a formare colonie, branchi, comunità, gruppi come entità necessarie per la sopravvivenza ed il successo evolutivo. Questo il motivo per cui gli esseri umani hanno una predisposizione innata a riunirsi in virtù della cooperazione. Come quella utile a procacciarsi il cibo come per esempio il cacciare in gruppo, prede di grandi dimensioni.
Ai giorni nostri il gruppo promuove il concetto d’identità, quale risultato dell’interazione di quelle parti interiori che ognuno di noi mette in gioco. Parti che sono riconosciute e condivise come comuni e che insieme alle motivazioni personali, possono realizzare quelle finalità che si sentono come proprie.
Già dal secolo scorso i media hanno promosso la costituzione di gruppi di grandi dimensioni che si incontrano non solo fisicamente ma anche virtualmente grazie ad Internet. Questo ha dato modo e sempre più spesso alla formazione di veri e propri movimenti e comunità.
I gruppi si riuniscono per condividere scopi, finalità, ideali, valori e possono essere condotti da uno dei membri quale leader del gruppo o tramite un facilitatore come quello dei gruppi incontro rogersiani. Il facilitatore, diversamente dal leader o da un conduttore, assiste e coordina non dirige. Agevola gli altri membri, rendendo così possibile lo scambio delle esperienze di ognuno per il raggiungimento di un processo di sviluppo positivo e di crescita del proprio potenziale quale quello della tendenza attualizzante.
Il gruppo incontro ha una valenza terapeutica poiché i suoi membri possono realizzare quelle finalità e quegli obiettivi che sono stati lo sprone alla costituzione del gruppo stesso. Distintive sono le modalità che si adottano nei gruppi, se di conduzione o di facilitazione anche riguardo l’aspetto dell’ottimizzazione costi/benefici in svariati settori come per esempio quello sociosanitario, dove vi è sempre una maggiore richiesta per la formazione di gruppi essendo economicamente più vantaggiosi.
Gli incontri sedute individuali nel supporto psicologico e counselling possono essere effettuati in due modalità:
In entrambi i casi per contattarmi, cliccare qui.
Se non puoi disporre di qualcuno che legga i vari passaggi a voce alta, puoi fare una registrazione della tua voce e riascoltarti. Questo modo sembra più efficace dal momento che la voce ha una valenza ancor più intima con noi stessi. Quando trovi scritto (…) conta in silenzio il tempo di 2 respiri e prosegui la lettura lentamente.
Scegli un orario tranquillo nella giornata. Spegni il telefono e per il tempo necessario cerca di tener lontane quelle situazioni o distrazioni che potrebbero interromperti. Tieni a portata di mano carta e penna dove annoterai alla fine dell’esercizio, cosa hai sentito. Se hai provato dolore, ansia oppure contentezza e in quale distretto del tuo corpo è successo. Se ti è venuto in mente un episodio del passato o hai pensato ad una persona in particolare. Siedi comodamente in un luogo confortevole, tranquillo, un po’ in penombra e procediamo.
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L’amore non ha età, non ha genere, non ha razza e nemmeno Specie. L’amore si moltiplica, non si divide.
Quando qualcuno a noi caro ci lascia improvvisamente, o dopo una malattia, si prova dolore. Una sofferenza che può essere profonda e lacerante, oppure più sfumata. Un dolore che può avere in sè anche disappunto, negazione, rabbia, un senso d’impotenza. Sia si tratti di una Persona, sia si tratti di un amico Animale.
Si può essere imbarazzati e provar vergogna per dei sentimenti che taluni giudicano esagerati e biasimevoli, perchè hanno una concezione assai diversa, circa le relazioni che legano Persone e animali. Così può succedere che si ricacciano le lacrime per mantenere un atteggiamento più consono a quello preteso dagli altri ma che in fondo ci fa sentire incompresi e ancora più soli.
Ma appena qualcuno che sta vivendo o ha vissuto una perdita come la nostra, e sa quello che si prova, finalmente ci sentiamo riconosciuti, compresi, capiti e non più soli.
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Approfondimenti
(Laura, Psy Dr)
Le api sono una Specie affascinante ed a me cara. Le ho incontrate spesso nella mia vita ed ho imparato, dopo esserne stata punta un paio di volte, come evitare i loro pungiglioni. Intanto evitando di metterle sulla difensiva quando qualcosa come un comportamento o un odore particolare, le rende aggressive.
Ho incontrato le api pure all’Università nei testi del mio beneamato corso di Etologia. Gli studi dell’austriaco Karl von Frisch sono davvero affascinanti riguardo alla facoltà delle api, di comunicare alle sorelle operaie in quali zone avevano trovato polline, acqua e soprattutto il nettare. Tutte sostanze che trasportano all’interno di sacche nelle zampette posteriori e che grazie a un processo digestivo particolare saranno trasformate in dolcissimo miele, pappa reale, propoli e cera.
Riguardo alla comunicazione, durante il volo di andata e ritorno fanno il punto col sole rispetto alla linea direzionale e distanza di dove si trovano i fiori e/o le fonti d’acqua. Quindi al ritorno in alveare, con una particolare codifica fatta di una danza a “8” di mezzi giri ondeggiamenti e vibrazioni che ricordano un po’ il ballo della rumba, insegnano questa raffinata mappa virtuale il percorso alle sorelle operaie.
Insieme ad altri insetti, le api sono i principali impollinatori del nostro Pianeta insieme al vento. Cose queste che permettono la fecondazione dei semi racchiusi nei fiori per maturarsi in frutti.
Versioni contrastanti attribuiscono erroneamente ad Albert Einstein una frase che riguarda le api che “se sparissero, nel termine di circa 4 anni l’agricoltura e quindi il nostro Pianeta ne subirebbe irreversibili e nefaste conseguenze per la sopravvivenza dei suoi abitanti”.
Ma al di là dell’autore di questa valida teoria, dovremmo protegger le api tutti e non solo gli apicoltori. Nel nostro piccolo potremmo scegliere prodotti agricoli di filiera biocompatibile con l’utilizzo di insetti come le coccinelle contro afidi per evitare quanto possibile i ben più inquinanti pesticidi chimici. Mentre per quelli denominati neonicotinoidi più preoccupanti per la salute delle api: clothianidin, imidacloprid e thiamethoxa confidiamo che l”EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ne escluda l’uso sulle coltivazioni europee nei prossimi giorni.
Infine noi dovremmo preferire frutta di stagione e nostrana, tenendo conto anche di un aspetto più naturale e “bruttino” di frutta e ortaggi perché facilmente meno o nulla trattate da pesticidi o altre manipolazioni più estetiche che salutari. Ben sapendo quanto i pesticidi insieme all’inquinamento, siano i principali e mortali nemici delle nostre operose e insostituibili amiche che con il loro lavoro nutrono l’intero alveare, aiutano la nostra salute ed il benessere del nostro meraviglioso Pianeta. >|<
(Psy Dr Laura De Pasquale)
(video con sottotitoli in italiano)
Come notorio da anni, gli animali da compagnia promuovono salute e benessere nelle Persone.
La loro vicinanza gioca un ruolo importante nell’aspettativa di vita e soprattutto nella sua qualità. Un’aspettativa che si è andata sempre più allungando negli ultimi tempi anche grazie alle migliorate condizioni socio ambientali, allo sviluppo della sanità pubblica. ed in particolare della medicina preventiva.
Gli animali da compagnia influiscono beneficamente sulla salute psico fisica ed emotiva delle persone, soprattutto negli anziani, rendendo più lunga e in salute la loro vecchiaia.
Predispongono ai rapporti umani, abbattono l’ansia, l’isolamento e che è l’anticamera della solitudine madre di una delle peggiori malattie. la depressione.
Restando in ambito medico, in taluni casi gli animali da compagnia forniscono anche un valido supporto di tipo diagnostico, come per i cani grazie al loro fiuto quale strumento di indagine in malattie come il cancro, il diabete e altre malattie croniche, arrivando perfino a “sentire” gli attacchi epilettici prima che accadano proprio per la variazione di condizioni fisiologiche proprie dell’ammalato.
Gli animali d’affezione si sono così resi coprotagonisti nella medicina preventiva e far risparmiare risorse in denaro pubblico.
Sono un valido supporto nelle disabilità fisiche e psichiche attraverso quella che si chiama pet therapy, dove l’interazione con l’animale riesce ad ottenere quei benefici e risultati che senza di lui non si avrebbero.
Il prendersi cura ed essere a nostra volta il centro della loro semplice scodinzolante e fuseggiante esistenza, aiuta i bambini a responsabilizzarsi nel prendersi cura dell’altro. Nel riconoscerne i bisogni si sviluppa empatia, insieme al rispetto ed altri valori positivi come quello della cooperazione, tanto fondamentale come in un gioco di squadra.
Questo e molti altri sono motivi di riconoscenza e rispetto per quanto gli animali, in modo innocente e spassionato siano capaci di rendere il nostro Mondo, un posto migliore
(Psy Dr Laura De Pasquale)
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La forza della resilienza.
La parola resilienza proviene da una branca dell’ingegneria che studia la capacità elastica di un materiale, quando sollecitato, quanta energia riesca a assorbire per mantenersi integro.
“Carl Rogers parlò di resilienza, riferendosi alla “tendenza attualizzante” quando la paragonò nell’osservazione di una specie di alghe durante una mareggiata e quanto siano capaci di crescere sulle rocce, della frastagliata costa californiana, nonostante le ondate del Pacifico che vi si infrangevano.
Dimostrando come nella loro apparente fragilità, fossero in grado di sopportare colpi incessanti, ora dopo ora, giorno e notte, settimana dopo settimana, forse anno dopo anno, continuando ad alimentarsi, ad estendere il loro dominio, a riprodursi e quindi sopravvivendo ed espandendosi in un processo che sinteticamente chiamiamo “crescita“.
In questa piccola alga simile ad una palma c’era la tenacia ed il progredire della vita, la capacità di farsi strada in un ambiente incredibilmente ostile e non solo di sopravvivere, ma di adattarsi, svilupparsi fedele a se stessa. La vita infatti è un processo attivo e, sia che gli stimoli vengano da dentro o da fuori, che l’ambiente sia favorevole o sfavorevole i comportamenti di un organismo sono sempre diretti alla conservazione, all’accrescimento, alla riproduzione.
Questa è la vera natura del processo che chiamiamo vita e quel che motiva il comportamento degli organismi è questa tendenza direzionale, sempre attiva in tutti gli organismi verso la totalità e l’attuazione delle proprie potenzialità.
Trasponendo il concetto di resilienza a livello psico-emotivo, la troveremo in persone che hanno avuto uno sviluppo affettivo e cognitivo ben integrati perchè maturati attraverso l’esperienza. Con la mediazione di quelle capacità mentali e di giudizio che rendono capaci di considerare non solo i benefici, ma pure le interrelazioni emotive, affettive e relazionali con e verso gli altri, l’ambiente interiore e quello circostante. Tutto questo predisporrà alla capacità di fronteggiare positivamente e a proprio beneficio ed eventualmente a favore della comunità, gli eventi traumatici, attraverso una riorganizzazione di quelle potenzialità di ricostruzione così sensibili ed elastiche tipiche della “resilienza” senza modificare o alienare la propria identità in una sorta di rinascita.
(by Admin)
Il Counseling on line può essere un efficace sostituto delle consulenze psicologiche della prassi tradizionale in Studio, quando queste non possono essere svolte per i più disparati motivi quali: distanza, orari, impegni, preferenze personali o pragmatiche come difficoltà temporanee o permanenti a muoversi, espatrio.
Il counselling on line può essere svolto usufruendo del servizio gratuito in conferenza video Skype (qui le istruzioni per scaricare Skype) Il potersi parlare attraverso il video è essenziale per una più idonea qualità della relazione cliente e terapeuta come in una seduta fatta di presenza.
La prima seduta (gratuita) e quelle successive potranno essere concordate con l’invio di una e-mail o qui con la compilazione del form sottostante oppure tramite messaggistica in questa pagina Facebook.
Altri esuli ed espatriati:
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Per l’esperienza di essere stata io stessa, nel passato, in una condizione di “lontananza” dagli affetti, mi fa comprendere come ci si senta. Di quanto bisogno si possa avere di qualcuno che ci aiuti a mantenere un equilibrio psico emotivo in quei momenti di sconforto per la mancanza di quelle certezze che solo il proprio ambiente e le proprie radici possono offrire.
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Farfalle e falene sono ben noti per la loro sorprendente metamorfosi che li trasforma in adulti alati da giovani striscianti bruchi e, grazie alla “tendenza attualizzante“, questo cambiamento radicale, non solo trasforma il loro corpo, ma anche lo stile di vita, la dieta e la dipendenza da particolari stimoli sensoriali. Sembrerebbe improbabile che la farfalla abbia appreso associazioni o memorie formate allo stadio larvale o di bruco alle quali potrebbe accedere nello stadio successivo da adulto. Gli scienziati della Georgetown University hanno scoperto che una falena può effettivamente ricordare quello che ha imparato da bruco. I ricercatori di Georgetown hanno scoperto che i bruchi potrebbero essere addestrati ad evitare odori particolari se associati a uno stimolo spiacevole come una leggera scossa. Subito dopo esser diventate falene adulte, gli ex bruchi addestrati, hanno evitato quegli odori ritenuti negativi nella loro memoria larvale. Lo studio della Georgetown University è il primo a dimostrare in modo conclusivo che la memoria associativa può sopravvivere nella metamorfosi dei Lepidotteri, ordine che comprende falene e farfalle.
Questo suggerisce altre domande sull’organizzazione e la persistenza nel sistema nervoso centrale durante la metamorfosi. “L’idea affascinante è che le esperienze di un bruco possono persistere in farfalla adulta o falena nonostante che, durante la fase di crisalide, si abbia una riorganizzazione totale del sistema nervoso e proto-cerebrale dei bruchi e si presume che la memoria potrebbe sopravvivere a tali drastici cambiamenti”. I risultati dei ricercatori della Georgetown suggeriscono che la conservazione della memoria dipenda dalla maturità del proto-cervello dei bruchi in via di sviluppo. Inoltre, i risultati hanno implicazioni sia ecologiche sia evolutive, di come la conservazione della memoria attraverso metamorfosi potrebbe consentire ad una farfalla femmina o altro insetto, di deporre le uova su un tipo di pianta ospite del quale si era nutrita la farfalla quando era larva. Un comportamento che potrebbe promuovere la selezione dell’habitat e alla fine portare allo sviluppo di una nuova specie. Questa ricerca si va concentrando sulla identificazione dei segnali necessari per dirigere una cellula a svilupparsi in un neurone e determinare come il sistema nervoso centrale umano complesso si è evoluto.
(Laura De Pasquale Psy Dr.)
Rif. bibliografici:
Citationi: Blackiston DJ, Silva Casey E, Weiss MR (2008) Retention of Memory through Metamorphosis: Can a Moth Remember What It Learned As a Caterpillar?
Quell’aria assente, lo sguardo perso oltre l’orizzonte,
La Nostalgia (dal greco: nostos, ritorno, e algos, dolore) significa “dolore nel ritorno”. E’ un sentimento ambivalente, composto da una serie di sentimenti come la speranza, la perdita, lo struggimento verso qualcosa che abbiamo vissuto nel passato. La Nostalgia è una sorta di tinta della memoria, una sfumatura che colora una parte del nostro vissuto e del proprio Sè, con quella sensazione spiacevole di una perdita che intensifica il desiderio di rivivere ancora quell’esperienza. Questa mancanza ci fa provare un intenso desiderio di recuperare quello che ci manca ed è un sentimento che sovente colpisce gli emigranti perchè attiene alla Casa in quanto origine delle proprie radici e rifugio. Una Casa che si è dovuta lasciare insieme a tutto quel che simboleggia come i rapporti intimi, l’ambiente sociale, la lingua, le tradizioni e la Cultura d’appartenenza.
Quando Casa è intesa come Paese quale luogo dove si è riconosciuti, e che richiama in sé quelle certezze che danno un senso alla propria esistenza, ed essendone lontani ne scaturisce Nostalgia. All’inizio è soffusa e pacata ma col tempo può prendere maggior vigore con un senso più profondo di dolore e di malessere psicofisico.
Una definizione della Nostalgia ce la dà lo psichiatra e antropologo Dott. Roberto Beneduce:
« “Se prima del viaggio si erano costruiti progetti e speranze ed erano state tracciate le premesse di una nuova autonomia, dopo qualche tempo quando i problemi incontrati nei paesi ospiti hanno finito con l’estenuare questa carica progettuale e i bisogni affettivi si sono resi insopprimibili, può accadere al migrante di sentire il proprio progetto esistenziale spezzarsi. Egli può avvertire intorno a sé forze più grandi che lo spingono alla deriva fino a fargli mancare i riferimenti più concreti e irrinunciabili. »
Da una parte la Nostalgia, rievocando immagini e oggetti mantiene viva la spinta verso il ritorno ai luoghi di origine, agli affetti e alla propria storia, in un certo senso aiuta a non sentirsi senza appartenenza o senza Casa. Ma dall’altra proprio queste mancanze in molte circostanze attivano tutta una serie di bisogni che se non soddisfatti provocando sofferenza, hanno un effetto negativo e disfunzionale nel comportamento di chi li vive. Per questo motivo può essere consigliabile un sostegno psicologico per meglio mediare quei bisogni e mancanze per riprender quell’energia data dalla speranza, nell’attesa del ritorno.
(Consulenza online per espatriati)
(Psy. Dr. Laura De Pasquale)
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B & B nei dintorni dell’evento
10.00 – 11.30 Accoglienza convenuti, presentazioni, esposizione degli argomenti del seminario.
11.30 11,45 pausa
11.45 -13.00 esercitazioni propedeutiche alla focalizzazione delle caratteristiche personali per una comunicazione efficace
13.00 pranzo a buffet
14.30 – 16.00 Role Playing: giochi di interazione.
15.30 – 16.00 pausa
16.00 -18.00 Gruppo Incontro con feedback
10.00 – 11.30 accoglienza convenuti, riflessioni sull’esperienza della giornata precedente
11.30 – 11.45 pausa
11.45 – 13.00 “role playing” su una comunicazione efficace
13.00 pranzo a buffet
14.30 – 16.30 Gruppo Incontro “cosa ci portiamo via?”
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10.00 – 11.30 Accoglienza convenuti, presentazioni, esposizione degli argomenti del seminario.
11.30 11.45 pausa
11.45 -13.00 esercitazioni propedeutiche alla focalizzazione delle caratteristiche personali analogiche per una comunicazione efficace
13.00 pranzo a buffet
14.30 – 16.00 Role Playing.
15.30 – 16.00 pausa
16.00 -18.00 Gruppo Incontro con feedback
10.00 – 11.30 accoglienza convenuti, riflessioni sull’esperienza della giornata precedente
11.30 – 11.45 pausa
11.45 – 13.00 messa a fuoco e spiegazioni sul metodo di una comunicazione efficace
13.00 pranzo a buffet
14.30 – 16.00 Role Playing
15.30 – 16.00 pausa
16.00 -18.30 Gruppo Incontro con feedback di chiusura del weekend cosa ci portiamo via?
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Privacy, commenti e mail:
File multimediali, diritti d’autore, responsabilità:
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Una riflessione su altri espatriati…
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Nella comunicazione, cani e gatti sanno esprimere le emozioni primarie (gioia, dolore, paura, sorpresa, disgusto, interesse, rabbia) come pure alcune fra quelle definite secondarie. Chiamate secondarie perchè più complesse e strutturate come lo sono i sentimenti quali gelosia e timidezza e nei cani ed alcuni primati perfino la vergogna.
Queste emozioni/sentimenti sono mostrati con la postura, le movenze della coda, la modulazione della voce, il drizzare o abbassare le orecchie, l’arruffare il pelo, il digrignare i denti. Analogamente sono capaci d’ interpretare gli stati d’animo delle persone significative e capiscono quando l’amico umano è arrabbiato, triste, allegro, spaventato. Mediante un’interazione dinamica, come una sorta di “rispecchiamento” reciproco.
Alcuni animali riescono a leggere le emozioni in modo ancor più efficiente di quanto si possa supporre. Per es. quando il cane manifesta empaticamente le stesse emozioni dell’amico umano e instaurando così un’interazione circolare di consapevolezza reciproca di un “come aver capito che”.
Come sappiamo la comunicazione non verbale ha tutta una serie di azioni che perfino tra specie diverse sono decifrati dal destinatario del segnale. Sarà capitato a molti di riscontrare dei comportamenti piuttosto originali in cani, gatti, cavalli, scimmie, delfini e taluni uccelli. Tutti soggetti questi, idonei ad essere osservati sia in ricerche naturalistiche, sia all’interno delle pareti domestiche, sia in vere e propri disegni sperimentali di laboratorio. Non sarà sfuggito quando il cane attende dietro la porta o alla fermata dell’autobus ad una certa ora il ritorno dell’amico umano. In letteratura sono molti gli episodi in cui cani e gatti smarriti, hanno ritrovato la via di casa percorrendo incredibilmente centinaia di chilometri.
Oppure quei casi nei quali si recano in ambienti condivisi col loro amico umano o sulla tomba in sua memoria o quando si lasciano morire confermando quanto possa essere, pure per loro, traumatizzante e dolorosa la loro mancanza.
Vi siete mai ritrovati in quelle situazioni in cui l’animale sembra leggervi nel pensiero o quando pare che “preveda” qualcosa per esempio, la visita del veterinario? Ovviamente se si prende il trasportino per il gatto che lo associa ad un evento passato traumatizzante o spiacevole, logico averne da parte sua un comportamento nervoso e schivo. Oppure, nel caso del cane, la passeggiata quotidiana se deviata per il raggiungimento dell’ambulatorio, è probabile che durante il percorso, la bestiola s’impunti o tenti di deviare dal percorso perchè rammenta un evento passato stimolato dagli odori che lo circondano e che hanno disegnato nella sua memoria una sorta di mappa cognitiva olfattiva. Ad un certo punto la sua mente ricorda/pensa/vede “veterinario” così da manifestare nervosismo irrigidendosi e tirando attivamente il guinzaglio in opposta direzione. In questi casi il comportamento è facilmente spiegabile mentre in altre occasioni sembra che i fattori implicati possano essere ben altri. Per esempio in quelle occasioni in cui il veterinario arriva a casa senza preavvisi particolari, magari solo con lo squillo del telefono o il suono del campanello e poco prima l’animale sembra sapere chi è prima di vederlo.
Ci si potrebbe domandare cosa, nel comportamento umano, ha suggerito all’animale uno stato di allerta. Forse una serie impercettibile di movimenti ed espressioni? Una particolare sequenza di essi o la modulazione della voce hanno fatto intuire alla bestiola il ripresentarsi di un evento particolare? O forse anche il cambiamento dell’odore dell’amico umano?
In merito a questo, le capacità sensoriali principali dei cani, udito e olfatto sono notevolmente superiori alle nostre, come riportate in letteratura e nelle seguenti ricerche. Una condotta dal neurologo Adam Kirton dell’Alberta Children’s Hospital in Canada, pubblicato sulla rivista Neurology e riguarda la capacità da parte dei cani di prevedere attacchi epilettici nelle persone. Nello studio condotto su 60 cani ha dimostrato che il 15% di loro è piuttosto preciso nella previsione di una crisi epilettica del proprio padrone con una percentuale di successo che si aggira sull’80%. Questa capacità non sembra possa essere indotta dall’addestramento ma dipendere solamente dal tempo necessario all’animale per conoscere bene il soggetto dell’esperimento come in una sorta di sincronizzazione fra persona e animale. Alcuni cani sono riusciti a prevedere una crisi addirittura con un’ora d’anticipo perché in un attacco epilettico, il corpo del paziente, subendo delle modificazioni fisiologiche, portano a cambiamenti della sudorazione così che il cane le possa rilevare attraverso l’odorato. La capacità di prevedere la crisi epilettica si rivela utile perché consente di mettere il paziente in condizioni di sicurezza, evitando i rischi e i danni riguardo le crisi convulsive o le cadute che si manifestano durante un attacco.
Un altro studio condotto dalla dottoressa Carolyn Willis e collaboratori dell’Amersham Hospital e pubblicato sul British Medical Journal, sembra aver messo in evidenza la capacità da parte dei cani di rilevare la presenza di cancro alla vescica annusando semplicemente l’urina dei pazienti. Lavorando in collaborazione con un istruttore cinofilo, per ben sette mesi, i ricercatori hanno insegnato a cani di varie razze ed età a riconoscere l’impronta odorosa dell’urina tipica di chi è affetto da cancro alla vescica. Venivano presentati vari campioni di urine umane, con lo scopo di identificare quelle del malato affetto da tumore. I cani lo hanno rilevato in una percentuale del 40%. Se avessero scelto a caso, la probabilità di successo sarebbe stata solo del 14%. Curiosamente è che nel corso del test, i cani hanno ripetutamente segnalato l’urina di un soggetto creduto sano. Ulteriori accertamenti di laboratorio hanno invece confermato che quel paziente era affetto da una grave forma tumorale ma a uno stadio precoce: i cani non avevano sbagliato!
Da anni le ricerche di Desmond Morris sui gatti ci hanno svelato gli affascinanti segreti di questi piccoli seduttori. L’etologo inglese ha dimostrato che i gatti dispongono di almeno sei messaggi di base per la comunicazione del loro stato d’animo e che son più propensi a mostrarla quando sono in contatto con gli umani d’affezione. Per esempio succede quando il gatto entra in una stanza dove sta l’amico umano e lo saluta tenendo ben dritta la coda. Il suo corpo elegante e flessuoso non mostra segnali di minaccia o timore e talvolta emette dei miagolii rivolti all’umano in questione. Per le fusa il discorso sembra farsi più complesso e alcune ricerche al riguardo stanno vagliando le cause/effetto della loro emissione non solo nella comunicazione del senso di soddisfazione ma anche in condizioni tutt’altro che di benessere. Sono quelle nelle quali vi sia un’alta soglia stressogena o dolorosa quale può essere la sofferenza derivata da malattia o convalescenza e perfino poco prima della morte. In questi casi la vibrazione delle fusa sembrano avere un effetto terapeutico entrando in gioco quelle aree cerebrali dove vien sintetizzata la dopamina e la serotonina noti neurotrasmettitori implicati al senso del benessere. Si sta tentando di spiegare come le fusa, in questi casi, possano essere un vero e proprio tentativo di stabilire quelle condizioni neurofisiologiche per l’emissione di endorfine: oppioidi naturali con caratteristiche molto simili a quelli usati in antidolorifici ed anestetici di sintesi.
Un altro studio, guidato da Karen McCob della Università del Sessex e pubblicato sul n. 14 di luglio di Current Biology, sembra provare che i felini riescano a mettere a punto un richiamo particolare per motivare le persone a dar loro attenzione come il riempire di cibo le loro ciotole. E’ la comunicazione di una sorta di segnale misto, composto dalle frequenze di un miagolio particolare e l’emissione delle fusa che, essendo ritenuto un suono piacevole, permette loro di avere come risultato la soddisfazione delle proprie richieste. Questo messaggio subliminale, attingendo a una sensibilità intrinseca negli esseri umani e altri mammiferi risulta generalmente fastidioso se ignorato o procrastinato, in quanto, questo tipo di richiesta, attraverso una serie di frequenze vanno proprio a stimolare quelle zone cerebrali implicate nel “matèrnage” o cura della prole.
In letteratura, infine, c’è anche il famoso caso del cavallo che sapeva contare. Siamo nella Berlino nel 1904. Hans, questo il nome del cavallo, suscitò una delle maggiori controversie scientifiche dei primi passi della psicologia sperimentale dell’epoca e che si estenderà anche al di fuori della Germania. Secondo il proprietario, l’intelligente equino sarebbe stato capace di risolvere problemi aritmetici, riconoscere carte da gioco, indicare la data del giorno, computare! Per verificare se si fosse trattato di una truffa fu nominata una commissione che accertasse le reali o presunte capacità del cavallo. Cosa strabiliante fu che Hans era in grado di rispondere efficacemente alle domande anche in assenza del suo proprietario. L’intelligente equino aveva forse imparato a leggere i segnali che provenivano inconsapevolmente dagli umani o erano questi che altrettanto inconsciamente ne influenzavano le risposte?
Anche noi a volte possiamo sembrare dotati di un fiuto particolare. Per alcuni versi simile al vero e proprio fiuto animale, un istinto particolare che nasce da un luogo prossimo alla coscienza. Si dice a volte che una persona “odora di buono” oppure che ci “va a pelle”. Sono sensazioni evocate dalle emozioni che costei ci suscita leggendone il linguaggio del corpo o di qualcosa che va al di là di tutto questo?
(Laura De Pasquale, Psy Dr)
Bibliografia di riferimento:
Despret V. (2004), Hans : Le cheval qui savait computer, Seuil, Paris ; trad. it. Hans, il cavallo che sapeva contare, ed. Eleuthera, Milano, 2005.
Kirton A.,Wirrell E., Zhang J., & Hamiwka L. (2004), Seizure alerting and response behaviors in dogs living with epileptic children, Neurology; 62; 2303-2305;
McComb K., Taylor A.,Wilson C. and C., Benjamin D., (2009) The cry embedded within the purr. Current Biology, 19 (13). R507-R508. ISSN 0960-9822
Willis C.M., Church S.M, Guest C. M. et al. (2004), Olfactory detection of human bladder cancer by dogs: proof of principle study, British Medical Journal; 329; 712.
L’esperienza è l’insieme di tutto ciò che succede in ogni momento, dentro e fuori l’organismo di un individuo ed è potenzialmente disponibile alla sua coscienza per essere appreso.
La coscienza è la rappresentazione-simbolizzazione di una parte dell’esperienza vissuta, con diversi gradi d’intensità. Si avranno così esperienze interamente simbolizzate e che diventeranno pienamente consce. Altre esperienze saranno potenzialmente simbolizzabili per via del loro significato sentito minaccioso per l’integrazione del Sé e subiranno una temporanea rimozione, restando così semiconsce o inconsce. Altre ancora non saranno simbolizzabili a causa della loro scarsa rilevanza o intensità e non riusciranno a raggiungere la soglia della coscienza.
La percezione è il significato che la persona dà a tutto ciò che avviene dentro e/o fuori di sé, ed essendo essa soggettiva, crea un vissuto del tutto personale della realtà.
La personalità dell’individuo si strutturerà mediante una continua interazione fra simbolizzazione/consapevolezza, percezione/coscienza. La persona ben funzionante avrà un’integrazione adeguata fra entrambe queste istanze, sebbene non potrà mai essere completa. Questo perché la Persona è sottoposta continuamente al susseguirsi di stimoli ed anche alla necessità che siano soddisfatti i bisogni in modo che possa riconoscere e sviluppare pienamente le sue capacità nel Sé reale.
La coscienza di Sé si forma mediante un progressivo intervallarsi tra il sistema di riferimento esterno (external frame of reference) e le sensazioni viscerali del sistema di riferimento interno (internal frame of reference): entrambi componenti essenziali nella comprensione dell’esperienza.
Quindi, nell’orientamento rogersiano il concetto del Sé (Self) è il campo fenomenico/percettivo dell’individuo ed è il criterio in cui il mondo gli appare con i significati legati alle emozioni che si provano durante le esperienze. Le figure genitoriali e di riferimento, l’appartenenza di classe, il genere, il contesto sociale, determinano rigidamente l’identità di ciascuno di noi. Inoltre, tra il Sè percepito e il Sé ideale si contrappongono costrutti, ideali, valori, giudizi, spesso fuorvianti relativi ai propri comportamenti e quindi alla personalità. Questi possono limitare forzatamente il Sé reale nella sua positiva attualizzazione e provocare una distorsione alla rappresentazione dell’esperienza. In tal modo, la Persona proverà un senso di incongruenza, un distacco interiore, disagio o insoddisfazione con conseguenti processi psichici di difesa.
In questo quadro epistemologico “l’ascolto”, durante la terapia individuale, si pone come attenzione costante e rigorosa al mondo fenomenico della Persona. La reciproca adozione del campo percettivo che gli interlocutori fanno l’uno dell’altro, è la base per una genuina comprensione, fino a raggiungere la resilienza che è la capacità di fronteggiare positivamente eventi estremamente traumatici, attraverso una riorganizzazione e ricostruzione della propria vita. Talvolta raggiungendo mète al di là di qualsiasi previsione “nonostante tutto quello che è accaduto”, mantenendo integre la propria sensibilità ed umanità.
L’epistemologia rogersiana confidando nella tendenza attualizzante (actualizing tendency) quale potenziale implicito di ogni organismo vivente, ha fiducia soprattutto nel naturale processo per uno sviluppo idoneo alla crescita della Persona. Questo processo nell’uomo insieme a tutto il corollario delle percezioni, sentimenti, concetto di sé, autostima e criterio personale di valutazione, saranno fondamentali per il modo di essere o di non essere nella continua relazione con se stesso e con gli altri durante la sua esistenza. Quest’impegno ad entrare nel Sé reale, il Sé percepito e il Sé ideale, permette di capire le dinamiche della personalità e facilitare lo sviluppo umano, insieme a quel calore, gradimento, fiducia e considerazione che fin dalla prima infanzia è ciò che il bambino desidera da parte dei genitori. Le figure significative assicurano così una minor vulnerabilità all’incongruenza del Sé quando riducono al minimo la tendenza alla distorsione e alla negazione delle esperienze vissute.
Così avviene anche in ambito psicoterapeutico rogersiano per quelle capacità di empatia e considerazione positiva incondizionata quale bisogno primario di essere amati, accolti, riconosciuti in un’immagine del Sé ideale. L’incontro, il dialogo e la coesistenza empatica possono dare la fiducia necessaria per esplorare quel mondo interiore per il raggiungimento di una migliore comprensione, dal momento che in ognuno c’è un immenso desiderio di essere compreso, considerato ed amato semplicemente per come si E’.
(by Admin)
Riferimenti bibliografici
Rogers, C.R. (1942) Counseling and psychotherapy, Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. Psicoterapia di consultazione, ed. Astrolabio, Roma, 1971.
Rogers, C.R. (1951) Client Centred Therapy, Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. Terapia centrata sul cliente, ed. La Meridiana, Bari, 2007.
Rogers, C.R. (1961) On becoming a person: A Therapist’s View of psychotherapy Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. La terapia centrata sul cliente, ed. Martinelli, Firenze, 1970.
La fiducia è un sentimento che si forma molto presto nella nostra vita. Già da neonati, ben prima che l’atto si compia, sentiamo chi è affidabile nel prenderci in braccio e chi non lo è. E’ la fiducia che ci permetterà di addormentarci serenamente soddisfatti, quando un abbraccio amorevole e caldo ci avvolge e ci farà sentire comodi e al sicuro. Se quell’abbraccio mancasse o fosse insicuro, fatto di movimenti bruschi o incerti, essendo in gioco la nostra incolumità, avremmo una sensazione assai spiacevole, di scomodità e insicurezza come di cadere. Già nei primi giorni di vita, attraverso l’olfatto ci arrivano gli odori. La qualità dei feromoni presenti nell’aria, possono suggerirci lo stato emotivo di chi ci sta per accogliere. Se è sereno, preoccupato, spaventato, ansioso. Emozioni queste che modulano l’attivazione di Adrenalina notoriamente implicata nelle reazioni “fight or flight“ la quale, di riflesso può influenzare a sua volta, il nostro atteggiamento e, in un certo senso, “suggerirci” come e se, saranno appagate le nostre richieste.
Riconosceremo ben presto chi soddisferà quei bisogni e se egli avrà un atteggiamento sufficientemente coerente nel prendersi cura di noi. Lo cominceremo a separare dal “tutt’uno” di quella sorta di bolla senza confini fra interno ed esterno, corpo e ambiente che caratterizza i primi tempi della nostra vita.
Questo ci insegnerà non solo a dominare la naturale frustrazione dell’attesa ma a confidare nel ritorno di chi ci accudisce, durante le sue necessarie brevi assenze. Inizierà così a germogliare un sentimento di fiducia anche verso noi stessi. poiché noi cominceremo a sentirci sempre più capaci di avere un certo controllo nel richiedere ed assicurarsi le cure necessarie alla sopravvivenza.
Nel tempo noi affineremo sempre più queste qualità in un “apprendistato emozionale” che ci renderà abili nel leggere i segnali che ci sono inviati dagli altri. A percepire, con straordinaria precisione, quell’energia positiva o negativa, fluente o frammentata, affidabile o inaffidabile emanata dal prossimo e modulare il nostro feedback. Ma se nell’infanzia chi si occupa di noi, avrà avuto un comportamento ambiguo, incoerente e discontinuo, o peggio, del tutto assente, favorirà in noi sentimenti di diffidenza, apprensione, perfino indifferenza, distacco e isolamento. Sentimenti, questi, che saranno vissuti continuamente e che si potranno amplificare o spegnersi con ripercussioni sostanziali in quelle relazioni significative ed intime che racchiudono l’idea di una completa apertura all’Altro.
Questo sembra spiegare le forti emozioni racchiuse nel processo della relazione. Quando la nostra fiducia è tradita, ci procurerà senso di disgregazione, lacerante dolore, disgusto, perfino rabbia, perchè sarebbe stato tradito proprio “quell’affidarsi a” come succedeva agli inizi della nostra vita. Da adulti, questo, ci renderà estremamente vulnerabili nell’autostima, nelle aspettative, nell’autoefficacia, nelle nostre capacità e doti di giudizio. Alcune di queste istanze tenderanno ad articolarsi in quella che, in una coppia, si chiama “complicità” sebbene sarebbe più esatto chiamarla “confidenza” per le qualità di fiducia, intimità ed affiatamento che si stabiliscono in una relazione in primis amorosa, ma anche parentale o amicale.
Se poi volessimo misurare il nostro grado di fiducia, potremmo riflettere su quelle situazioni dove noi non dormiamo da soli. Quando i segnali analogici (linguaggio del corpo) che insieme all’atteggiamento e alle parole della persona vicina, sono rassicuranti ed affidabili, allora ci permetteranno di lasciarsi andare in un sonno rilassato. Infatti l’assopirsi provocando la perdita di coscienza e di controllo, ci rende indifesi e vulnerabili e se proviamo diffidenza anche a livello inconscio, difficilmente il nostro sonno sarà sereno e ristoratore ma frammentato, agitato e perfino assente.
E’ sempre la fiducia il sentimento primario che confida sulla tendenza attualizzante. Saranno la fiducia o la diffidenza a dare un certo colore emotivo ai nostri atteggiamenti in una visione più ottimistica e propositiva in caso di fiducia, o, al contrario, pessimistica e sfavorevole nella diffidenza, così da aver esiti assai diversi nelle esperienze della nostra intera esistenza.
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Potremmo definire “Cuor Somatico” la voce emotiva del nostro corpo che, non essendo in grado di usare parole o simboli come può farlo la mente cognitiva, si fa sentire mediante tutta una serie di sensazioni corporee.
Queste, generalmente, si irradiano al di sotto del plesso solare, vicino al cuore o alla bocca dello stomaco o, per taluni, anche più in basso.
Il nervo Vago ha un ruolo importante nel percepire queste sensazioni. Come gli altri 12 paia di nervi cranici, esso nasce nella parte più profonda ed antica del nostro cervello, l’encefalo, sede del sistema nervoso autonomo. Gli altri nervi cranici provvedono a funzioni fondamentali quali le espressioni emotive del nostro viso, l’olfatto, la vista, l’udito, il gusto, l’articolazione della parola etc., compresi tutti quei movimenti muscolari insiti nella loro esecuzione.
Il nervo Vago, rispetto agli altri, è quello più esteso fino a raggiungere cuore, stomaco ed intestino. Ha una funzione parasimpatica nel controllo della gran parte della muscolatura liscia, di alcuni muscoli scheletrici e parzialmente del cuore.
L’artrosi cervicale può comprometterne il funzionamento con sintomi dolorosi, rigidità del collo, mal di testa, salivazione ridotta, acidità di stomaco, tachicardia, sudorazione fredda, pallore, vertigini, nausea, vomito, collasso. Inoltre, le sue diramazioni, coinvolgendo aree specifiche del cervello, regolano l’umore, il sonno, l’appetito, la motivazione, e se stimolate elettricamente (Vagal Nerve Stimulation), portano giovamento in forme epilettiche e depressive resistenti ai farmaci.
La vita odierna, con tutto il suo carico di impegni e stress, ci rendono sordi alla voce del nostro corpo. A volte noi ci ripromettiamo di contattarla ma sempre più spesso rimandiamo perchè distratti da altro. A poco a poco, il Cuor Somatico inascoltato, accumula sempre più tensione la quale sarà scaricata su organi bersaglio, i quali, alla lunga, si ammalano con veri e propri stati patologici, talvolta cronici. Nel passato, se ne ipotizzavano le cause nella sfera bio-psico-sociale dell’uomo già considerato come unità indivisibile da tali aspetti. Ai giorni nostri, grazie a criteri diagnostici più raffinati, alcune patologie, sono riconosciute ed annoverate nella branca della psicologia medica, chiamate malattie psicosomatiche (asma, colite, eczema, ipertensione essenziale, cardiopatie, ulcera gastro-duodenale, mialgia, artrite, intolleranze alimentari).
Dovremmo dare maggior ascolto al nostro corpo. Dimostrargli rispetto con l’intento di favorirne salute e benessere e non dimenticare mai che ci dovrà durare tutta la vita.
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Per facilitare il contatto con il Cuor Somatico, puoi seguire una metodica che chi pratica Yoga o il Training Autogeno ne riconoscerà alcuni punti in comune. (Troverai le istruzioni nella pagina “Psyco lab” al link: Metodica per contattare il “cuor somatico”).
Quest’esperienza può essere corredata da sensazioni che, in modo indiretto, possa “illuminarti” su emozioni o stati d’animo che provi da tempo e dei quali ti è sconosciuta la causa perché i loro effetti, molto spesso, si manifestano a livello somatico e quasi mai a livello cognitivo.
Se vuoi meglio comprendere o approfondire, dare nome e significato a queste sensazioni corporee, rivolgiti con fiducia a psicoterapeuti di orientamento umanista Rogersiano centrati sulla Persona. Perché la loro visione olistica della Persona, insieme alle loro capacità nello scorgere le emozioni che si muovono dietro il racconto del Cliente, la riformulazione dell’esperienza riportata, possono aiutare a far scaturire quell’insight (intuizione interiore improvvisa) che già da sola avvia un immediato processo di proficuo cambiamento.
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La vergogna è un’intensa multiforme emozione che può generare un profondo dolore. È legata ai vissuti di “aver perso la faccia” o peggio di “aver perso la dignità”. La sofferenza che ne deriva, coinvolge tutta la persona, sia a livello somatico con il rossore del viso e la postura, sia interiormente.
La vergogna è associata al rapporto con l’altro e/o con un sé ideale. Si ha consapevolezza di essere osservati in maniera diversa da quella desiderabile con sentimenti di pena perché pregiudica l’immagine di sé rispetto agli altri e ci si sente improvvisamente indegni e immeritevoli.
La vergogna, come il senso di colpa, l’orgoglio e l’imbarazzo, sono per lo più reazioni emotive alla trasgressione di regole sociali nella relazione. Generano un’assunzione di responsabilità attraverso i sentimenti di auto-consapevolezza e giudizio che si prova per se stessi rispetto agli altri.
Essi sono comportamenti emotivi appresi prevalentemente durante il matèrnage (l’insieme di atteggiamenti e azioni racchiusi nel rapporto madre-figlio soprattutto nella prima infanzia) e nel proprio contesto culturale attraverso i processi di socializzazione. In tal modo il bambino impara a valutare, non solo le proprie esperienze emozionali ma anche quelle altrui. Egli conforma il proprio livello di autostima e di coscienza di sé, alle aspettative medie della cultura d’appartenenza, rendendolo capace di assumere il punto di vista, i criteri di valore degli altri ed anche le norme di gruppo. La vergogna quindi può diventare componente costitutiva della propria identità personale e costringerci a conoscersi attraverso ciò che si è o si pensa di essere per gli altri.
Primo Levi, nel racconto autobiografico “I sommersi e i salvati”, mette in evidenza un fenomeno assai singolare. Dopo la liberazione dal Lager, al termine della prigionia, coloro i quali avevano provato un senso di sollievo, furono solo i combattenti militari e politici che, in definitiva, avevano provato una minor sofferenza.
Molti dei sopravvissuti provarono un senso di vergogna, di abbattimento generale, di disagio duraturo che, subito dopo la liberazione, portò, molti di loro al suicidio.
Nei Lager, scrive Levi, nessuno si toglieva la vita perché il suicidio viene inteso come un atto spiccatamente umano, non bestiale. Insito nel gesto estremo vi è la possibilità di scelta, mentre nei Lager non si sceglieva, si subiva. Il suicidio sembrava scaturire da un senso di colpa mentre nel Lager le punizioni continue, le intense umiliazioni, la vita che ricorda un vivere da bestie, soffocavano il senso di colpa a favore del sentimento di sopravvivenza. Lo scorrere del tempo si cristallizza, non si aveva tempo per pensare alla morte. Si avevano solo continue e opprimenti urgenze nella lotta per la vita! .
Dopo la liberazione, i “salvati” soffrivano, perché solo ora che erano liberi, si rendevano conto di aver vissuto per mesi come animali. In qualche modo si sentivano colpevoli per non aver fatto niente o non abbastanza contro un sistema disumano nel quale erano stati assorbiti. Anche se in alcuni Lager era possibile un minimo di resistenza attiva, nella maggioranza dei casi, la denutrizione, le violenze, le umiliazioni, prima di distruggere, paralizzavano.
Nelle vittime un’altra causa, estremamente realistica di “vergogna”, è nella consapevolezza di essere stati mancanti sotto l’aspetto della solidarietà umana.
Una delle principali regole nei Lager era quella di badare prima di tutto a se stessi. Questo aver cambiato radicalmente una regola morale incisa nella propria cultura d’appartenenza e quindi essere stati ridotti al puro egoismo, sarà sentito come un senso di colpa per essere sopravvissuto al posto di un altro, sicuramente un uomo migliore di te.
I sopravvissuti sentono su di sé la “vergogna del mondo”, cioè il dolore per le colpe che altri hanno commesso. Soffrono perché si rendono conto che il genere umano, di cui fanno parte, è capace di costruire una mole infinita di dolore ed inutile violenza.
Levi soffermandosi su tale violenza, ne mette in luce lo scopo terribile della morte, dell’assassinio, della guerra e della distruzione. Ma nei Lager vi era anche una forma di violenza inutile, quasi sempre tesa cioè solo a produrre mera sofferenza nei prigionieri: il nemico non solo doveva morire, ma morire nel tormento.
Iniziava da un treno merci piombato, sovraffollato spesso all’inverosimile, completamente “nudo” (né viveri, né acqua, né coperte, né latrine). Era sul treno che iniziava la trasformazione da esseri umani in animali, partendo dall’offesa al pudore e dalla costrizione escrementizia.
La nudità che li faceva sentire senza difesa “come un lombrico, nudo, lento, ignobile, prono al suolo, pronto per essere schiacciato“.
La mancanza di un cucchiaio, che obbligava a “lappare la zuppa come i cani“. L’appello, un conteggio laborioso e complicato che avveniva con qualsiasi condizione di tempo all’aperto, durava ore e vi dovevano partecipare anche i feriti e i morti. Il tatuaggio, numero di matricola dei prigionieri inciso sull’avambraccio sinistro; operazione poco dolorosa, ma traumatica: il marchio che si imprime agli schiavi e agli animali destinati al macello. Il lavoro, usato con lo scopo di umiliare. I test medici, con sperimentazione di nuovi preparati su cavie umane, torture insensate, oltraggio persino delle spoglie umane dopo la morte. Erano i prigionieri a caricare sui carri le spoglie mortali dalle “docce a gas”. Gli stessi prigionieri li ponevano nei forni crematori che, sempre in attività, appestavano l’aria di fumo nero e acre.
Primo Levi, sembrava si fosse pacificato con tutto questo, scrivendo: “Se questo è un uomo” e ne “La tregua”, tentativi forse per metabolizzare e accettare il ruolo di “scampato”, il ruolo di “vivo”, e sembrava quasi che ci fosse riuscito, agli occhi del mondo, quando pubblicò “I sommersi e i salvati”, un libro diverso dai precedenti in cui si riproponeva l’intento di comprendere quei meccanismi inumani per analizzarli, per evitare che quanto era successo potesse accadere ancora.
E allora, cosa rende un uomo un carnefice e cosa rende un uomo vittima?
Quali sono i sistemi autoritari che permettono la realizzazione di equilibri disumani, in cui l’obiettivo primo è quello di annientare la personalità dell’altro, sottometterlo, umiliarlo, annullarlo completamente?!
Perché le vittime non si ribellarono, perché nessuno si scandalizzò o si oppose?
Con questo racconto, nel 1986, Levi pareva essersi riconciliato con se stesso. Quasi alla fine di un percorso interiore che sembrava suggerire una speranza, forse lontana, forse insufficiente.
Per sua scelta o forse per cause accidentali, Primo Levi morirà l’anno dopo.
(by Admin)
Riferimenti bibliografici:
Battacchi M. W. (2002), Vergogna e senso di colpa, in psicologia e nella letteratura, Milano, Raffaello Cortina editore.
Levi P. (1986), I sommersi e i salvati, collana Gli Struzzi, Einaudi.
Dolore!
Straziante, trafiggente che lacera e spezza il cuore, frammenta il respiro, che piega in due e fa cedere le gambe! Disperazione per la perdita incolmabile di una persona amata. Smarrimento infinito, più feroce ed intenso quanto più, chi perdiamo, ci è tanto vicino essendo parte di noi, come un figlio! Una sofferenza che ci accompagnerà per tutta la vita, dove tutto ciò che ci circonda ci parla nel ricordo, di qualcuno tanto amato.
Quando eventi così terribili ci colpiscono si ha bisogno di capire, trovare una ragione per placare quel senso di angoscia, orrore, smarrimento o anche rabbia. I notiziari e tante immagini recenti ci hanno mostrato volti, luoghi, orrore, disperazione di quel che è accaduto a Newtown nel Connecticut. Ci siamo immedesimati in chi piange le vittime. Un dolore che poteva essere il nostro o, forse, conosciamo profondamente per averlo già vissuto!
La tristezza ed il dolore sono emozioni spiacevoli d’intensità variabile, caratterizzate da un senso di malessere interiore. Una sofferenza che si vorrebbe scacciare e far terminare in fretta ma che generalmente è assai persistente e può portare a stati depressivi di una certa rilevanza, talvolta fino alla morte!
Queste emozioni possono favorire sia sentimenti di rabbia, orrore, angoscia, ma anche compassione, pietà, amore che, empaticamente, ci predispongono alla relazione con l’Altro. Questi sentimenti risultano estranei ai sociopatici o a chi è colpito da sindromi particolari come quella di Asperger.
Le persone che vivono questa condizione, hanno reazioni inadeguate nella reciprocità affettiva, con insensibilità, indifferenza e difficoltà nell’interpretare l’espressione emozionale dell’altra persona. A livello cognitivo possono esser capaci di descrivere con una correttezza formale le emozioni altrui, le loro aspettative e perfino le convenzioni sociali. Questo, però, non li rende capaci di quell’agire spontaneo ed intuitivo necessario a relazionarsi col prossimo. Il loro linguaggio è pedante e monotono. Hanno un’insufficiente comunicazione analogica (non verbale) che è invece costellata da movimenti maldestri e posture bizzarre. I loro interessi sono ripetitivi e circoscritti come per esempio occuparsi ossessivamente del tempo, degli orari ferroviari, di eventi visti in tv che vengono memorizzati meccanicamente rivelando così una comprensione eccentrica e limitata. Sono predisposti all’isolamento, tanto che, nell’insieme, non saranno in grado di sviluppare atteggiamenti amichevoli o empatici col prossimo.
Ma tutto questo non è sufficiente per trasformare in sociopatici sadici e pericolosi o freddi assassini come nel caso di Newtown. Probabilmente il terreno fertile che rende tali sono stati una concomitanza di fattori. I giornali ci hanno parlato di una madre che collezionava armi da fuoco e che usava al poligono di tiro portandosi dietro i figli. Uno dei quali con gravi carenze socio relazionali e che pare non provasse dolore, neppure quello fisico. Un figlio che ucciderà la madre con uno dei suoi fucili, sparando in pieno viso che, guarda caso, è la sede d’elezione delle espressioni emotive. Lei lo stimolava alacremente a primeggiare, lasciandolo lunghe ore solo, in balia di quei videogames dove si simulano combattimenti, guerriglie, ci si ferisce senza dolore e si “muore” giusto il tempo per ricominciare la partita.
Luoghi dove la sofferenza è una distorta imitazione nelle smorfie di stereotipati e minacciosi personaggi. Quasi sempre immersi in scenari sanguinari e violenti, dai cupi colori in ambientazioni soffocanti. I suoni in sottofondo sono ripetitivi, composti da particolari frequenze, che, insieme alla tensione per la competizione, vanno a stimolare il sistema dopaminergico, (sistema relativo alla ricompensa e alla motivazione). Non c’è bisogno di essere nati con particolari caratteristiche genetiche per diventare dipendenti di certe dimensioni virtuali. Succubi di un contatore che mostra impassibile punteggi di vittorie, sconfitte, bonus, nemici uccisi o anche succubi del gioco d’azzardo compulsivo. Un mondo dove la tensione si può trasformare in rabbia ossessiva e continuare a giocare, ore ed ore, pur di vincere e sconfiggere il computer: una macchina senz’anima.
Dove non c’è una competizione più emotivamente sana come quella di una gara giocata fra esseri umani o più funzionale tramite una pedana che, interagendo col computer, rende divertente l’esercizio fisico altrimenti noioso e ripetitivo. Un luogo, il virtuale, dove l’amarezza della sconfitta o la gioia per la vittoria non è condivisa dalla vicinanza dei compagni di squadra. Il potersi guardare negli occhi, leggendo ed esternando sentimenti attraverso le espressioni del viso, favorisce l’apprendistato emozionale così necessario per sviluppare empatia e quegli atteggiamenti pro sociali come l’ amicizia, la cooperazione e la solidarietà.
Un luogo dove è alto il rischio per chi è predisposto da particolari sindromi psichiatriche, di non vedere i confini tra il mondo virtuale e il mondo reale. Mondi paralleli che a un certo punto possono collassare in uno solo e portare “il gioco” virtuale nella realtà della vita vera. Sembra che possa succedere questo a molti, forse anche al killer di Newtown.
Lo stesso giorno dell’eccidio, si è acceso nuovamente il dibattito sul facile acquisto delle armi, sebbene le armi, stavolta, il killer le aveva in casa. Non sono mancate voci di coloro i quali invitavano ad armarsi tutti per difendersi da situazioni del genere. Si son visti, nei giorni successivi, bambini che avevano sottratto una pistola trovata a casa per portarsela a scuola. Un evento che ha visto il Presidente americano, firmatario di nuove norme sulla vendita, la tracciabilità delle armi e la violenza dei media. Che lo vedono in prima linea “combattere” contro una lobby assai influente, la quale non si fermerà ed attuerà nuove strategie per raggiungere i potenziali clienti. Anche attraverso la suggestione di squallidi costumi di scena.
Quello che può sconfiggere un fenomeno tanto pericoloso, che provoca danno e tanto dolore, non è solo nel proibizionismo o nella sua legislazione, ma anche attraverso un diverso atteggiamento. Un atteggiamento che si ottiene mediante la conoscenza, l’impegno e la sensibilizzazione su tutto ciò che vi è ad esso collegato. Questo può diventare “l’arma” più efficace per combattere il fenomeno stesso, come è successo proprio negli Stati Uniti contro il tabagismo che in pochi anni ha letteralmente ribaltato le posizioni. Se una volta fumare era segno di potenza, virilità, fascino e successo adesso è visto come un comportamento riprovevole che sottolinea debolezza, dipendenza, cattiva qualità di vita per malattia e morte precoce.
Per essere anche noi promotori di un diverso atteggiamento riguardo la violenza e le armi, dovremmo intanto riflettere che al di là della difesa o della minaccia, un’arma ha caratteristiche lesive e che la sua funzione ultima è quella di uccidere e che da li non si torna più indietro.
Alla luce dei recenti fatti di cronaca, potremmo trarne insegnamento per il nostro ruolo di genitori, nonni, zii o educatori. Ruoli tesi ad una vigilanza attiva dei più giovani senza prevaricarne gli spazi ed assisterli per esserne alleati. Non lasciarli soli o troppo tempo alle prese con i media dove la violenza e il pericolo sono subdolamente in agguato. Permettere loro di fare esperienza informandoli per tempo delle conseguenze che talune azioni potrebbero avere, in modo che riescano a proteggersi per scegliere ed agire nel modo più efficace per se stessi e gli altri. E’ pur vero però che per svariate ragioni potremmo non sentirci o non essere all’altezza di questo compito. Allora rivolgiamoci con fiducia verso quegli operatori e associazioni che hanno gli strumenti per poterci aiutare ad assolvere questo impegno, per “far squadra” all’interno della famiglia, del gruppo e della comunità.
Senza dubbio un impegno difficile, ma che, promuovendo salute ed armonia, ci possa rendere Persone migliori nella consapevolezza della propria forza ottenuta dal coraggio che deriva dalla paura. Per avvicinarci sempre più a quello che veramente vorremmo essere: noi stessi.
“Ci sono cose per le quali sono disposto a morire, ma non ce n’è nessuna per la quale sarei disposto ad uccidere” (Mahatma Gandhi)
(Dr Laura De Pasquale Psy)
Link di riferimento articolo:
http://www.nytimes.com/2012/12/16/nyregion/friends-of-gunmans-mother-his-first-victim-recall-her-as-generous.html?_r=0
http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Asperger
http://it.wikipedia.org/wiki/Videogioco#Conseguenze_psicologiche
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/29/usa-senatore-rockfeller-chiede-studio-su-correlazioni-videogames-e-violenza/456424/
http://en.wikipedia.org/wiki/Video_game_controversies
http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/1145234/Usa–strage-a-scuola–un-piano-di-morte–Il-killer-ha-usato-le-armi-della-madre.html
http://qn.quotidiano.net/esteri/2012/12/15/817400-strage-massacro-usa-killer-bambini.shtml
Prima che ricerche scientifiche lo dimostrassero con strumenti diagnostici di ultima generazione, fin dagli albori dell’umanità, noi ben sapevamo quanto la musica possa farci provare emozioni.
Il neuroscienziato prof. Danile J. Levitin ha condotto una ricerca riguardo le reazioni biochimiche nel cervello prodotte dagli stimoli musicali. Questi attivano una risposta biochimica grazie alla quale le aree cerebrali interessate modulano i livelli di Dopamina, ribattezzato anche”ormone del benessere”.
Alcuni esempi sugli effetti della musica si ha quando viene diffusa in aziende e negli allevamenti perchè ha dimostrato di migliorarne la produzione. Nei centri commerciali, dove in passato ci accompagnava in sottofondo, da alcuni anni vi è sempre più la tendenza a inondare i reparti con brani ritmati e ad alto volume. Solo a pochi risulta sgradita, mentre su molti pare che questa modalità abbia un’influenza distraente sul quel ragionamento e giudizio utili alla valutazione fra un acquisto necessario da uno superfluo e voluttuario. Ci rende, cioè, più predisposti a comprare e quindi più facili e migliori clienti per il venditore.
Ma al di là degli aspetti produttivi e commerciali, la musica se ben dosata e con ricchezza di armonia ci rende più euforici, socializzanti, ben disposti, migliorando il nostro umore.
Le sensazioni legate alla musica possono dipendere anche dai ricordi legati ad una melodia ma anche alle parole del testo di canzoni a noi particolarmente care che possono farci gioire ma anche commuovere fino alle lacrime.
Le frequenze che compongono le note, risuonando in armoniche sostenute dal ritmo, entrano in risonanza in determinate aree cerebrali con l’attivazione di un’energia che ci fa venir voglia di muoverci, ballare, cantare, saltare! Quest’energia ci deriva principalmente dalla Dopamina.
La Dopamina è un neurotrasmettitore fondamentale per la cognizione, l’attenzione, l’apprendimento, il comportamento, la motivazione, la gratificazione sessuale. Agisce sul sistema nervoso simpatico riguardo la pressione sanguigna e il battito cardiaco, inibisce la produzione di prolattina per l’allattamento.
Nella motivazione la Dopamina è legata al senso di soddisfazione e della previsione di uno stato di piacere derivanti dalla ricompensa che si ottiene. Il cibo, il sesso, le sostanze psicoattive come talune bevande, alimenti, la nicotina e la droga diventano, così, stimoli motivanti per l’ individuo e lo inducono a ripeterne l’esperienza.
La Dopamina agisce pure sull’umore, sulla memoria di lavoro, sul sonno, sul movimento volontario dove la sua mancanza causa cattiva funzionalità motoria nel Morbo di Parkinson, predisposizione alla fobia sociale; ritiro emotivo, apatia e anedonia (incapacità a provar piacere) che sono i tipici tratti negativi della schizofrenia.
Al contrario, disfunzioni nel Sistema dopaminergico (corteccia prefrontale, via mesolimbica, substanzia nigra, nucleo acumbens) sono associati ai tratti positivi della Schizofrenia (deliri, allucinazioni, eloquio e/o comportamento disorganizzati, catalessia), all’autismo, al disturbo da deficit di attenzione e iperattività. I farmaci che riducono l’attività in tali aree, come i neurolettici, provocano incapacità di provare piacere con conseguente riduzione nella motivazione e rischio di disturbi irreversibili del movimento come la Discinesia tardiva.
Cocaina ed anfetamine possono causare psicosi temporanee e dipendenza, poiché aumentano i livelli della Dopamina nella via mesolimbica nel cervello, area relativa alla ricompensa. I farmaci usati nel Morbo di Parkinson (segnalato nei foglietti illustrativi solo dal 2007) possono avere effetti collaterali di una certa gravità, quali ipersessualità, bulimia, gioco d’azzardo e shopping compulsivi.
È appurato che la Dopamina, precursore di noradrenalina e adrenalina, incide sui livelli di aggressività. Entro certi limiti e se si è sviluppata una certa intelligenza emotiva (capacità di riconoscere, comprendere e gestire le emozioni proprie ed altrui) si avranno atteggiamenti e comportamenti “appassionati” ma positivi, connotati da entusiasmo, curiosità, innamoramento, interesse per qualcuno o qualcosa. Se esasperati dal carattere ed eventi stressanti, si avrà sempre più la tendenza alla maniacalità e all’ossessività.
Rispetto agli eventi dei quali siamo protagonisti, la Dopamina gioca un ruolo importante anche per quelle attivazioni fisiologiche relative alla reazione “combatti o fuggi” che possono portare a sempre più alti livelli di aggressività e rabbia fino a sfociare in comportamenti violenti ed incontrollabili.
Alla luce di quanto esposto finora, non dovremmo mai farci mancare almeno “una dose” quotidiana della nostra musica preferita. Meglio se accompagna l’esercizio fisico per concorrere ad una sorta di sistema circolare che, usando un gioco di parole, attraverso i toni musicali, migliori il tono dell’umore, il tono muscolare, il tono cardiovascolare e respiratorio per un rinnovato senso di benessere.
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(by Admin)
“Quando cominciai a prendere le pillole mi sentivo meglio…a volte la testa vuota, un po’ su di giri e mi ritrovavo a ridere per cose che, per gli altri, di spiritoso avevano ben poco. Poi, via, via aumentava quella sensazione di stare dentro un mondo ovattato. Non so come spiegare… Se prima portavo a termine molte cose con una determinazione tale, una grinta, mi son ritrovata poi a non provar più quella voglia, quell’impulso! Facevo le cose non più con passione ma perché le dovevo fare. Non sentivo più quella soddisfazione che provavo prima…”
“Appunto! Io non voglio farmi controllare la testa dalle pillole! Non sono matto!”
“Qui non si tratta di esser matti! Se mio padre non avesse avuto le pillole non si sarebbe manco alzato dal letto. Non aveva forza a far niente. Voleva dormire e spengere il cervello, non pensare più… Da quando aveva perso il lavoro si sentiva un fallito! La vita lo angosciava e voleva farla finita! Così quando è peggiorato di nuovo e i farmaci non funzionavano più, come ultima spiaggia abbiamo dovuto decidere per la TEC e un po’ si è ripreso…”
“Io soffrivo di attacchi di panico. Insieme alla psicoterapia prendevo le pillole che poi mi hanno sospeso quando gli attacchi son spariti. O meglio, ora quando mi accorgo che ne sta arrivando uno, riesco a gestire da me la situazione e la controllo. Con la mia psicoterapeuta ho raggiunto quella presa di coscienza che mi ha resa più forte e ora posso fronteggiarli da sola e senza pillole!”
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Queste possono essere delle considerazioni tratte da un ipotetico gruppo di discussione che condivide le proprie esperienze riguardo agli psicofarmaci.
Gli psicofarmaci sono impiegati per alcuni disturbi psichici e sono necessari quanto l’esattezza della diagnosi. Per esempio i neurolettici o antipsicotici sono adoperati come stabilizzanti dell’umore nel disturbo bipolare o maniaco-depressivo. Hanno un’azione inibitoria a livello dopaminergico per quei sintomi nella schizofrenia quali i deliri, le allucinazioni o comportamenti anomali. Si possono considerare dei sedativi che aiutano la persona nel reinserimento sociale. Quando il dosaggio non è appropriato perchè non costantemente monitorato, se da una parte si attenuano quei sintomi che rendono disfunzionale la persona per sè e per la comunità, dall’altra la si può rendere fin troppo “calma” con grandi difficoltà ad attivarsi e conseguente scarsa volontà e motivazione.
Per quel che riguarda gli antidepressivi del tipo SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), questi agiscono a livello sinaptico per modulare l’impulso nervoso che inibisce o eccita determinati gruppi neuronali e/o aree cerebrali. Alla lunga possono attenuare tutte quante le emozioni e chi li assume può avere un modificato esame della realtà del mondo che lo circonda compreso quello interiore, con conseguenze di una certa rilevanza riguardo i suoi atteggiamenti, comportamenti e motivazioni.
Se una decina di anni fa sul mercato erano gli ansiolitici a far la parte del leone, adesso lo sono gli antidepressivi, definiti anche “pillole della felicità“. Anche il rapporto dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) mette in evidenza un l’incremento del loro consumo. Per quel che attiene gli SSRI come la “Fluoxetina” il dibattito è ancora aperto con pareri discordanti sulla loro effettiva utilità rispetto agli eventuali effetti collaterali. Molte ricerche sottolineano che se vi è una certa predisposizione genetica alla depressione, lo stesso discorso dovrebbe valere anche per i benefici degli antidepressivi ed i loro effetti secondari. Alcune persone hanno tratto giovamento solo all’inizio della terapia farmacologica mentre non ne hanno avuto successivamente. Lo stesso discorso vale per alcuni antidolorifici avendo avuto un iter molto simile agli psicofarmaci.
C’è chi sottolinea l’effetto placebo. C’è chi muove accuse alle case farmaceutiche che per ragioni d’interesse, fin troppo spesso nascondono dati sperimentali riguardo i limiti e la loro effettiva efficacia che non si manterrebbe nel tempo. Oppure il pericolo, per chi li ha assunti in giovane età, di comportamenti auto ed etero lesivi e rischio suicidario in età adulta.
Importante per qualsiasi sindrome è la diagnosi. Il primo referente al quale ci si rivolge per parlarne, generalmente è il medico di famiglia, che talvolta però, non invia il paziente al collega specialista. O, per i più disparati motivi, non gli prescrive quegli esami necessari per escludere disturbi di altra natura. Così si tende a prescrivere antidepressivi anche in presenza di disturbi dell’umore transitori o lievi o che si manifestano in seguito a sindrome da dolore cronico o reumatico, problemi tiroidei, variazioni ormonali in menopausa, andropausa ecc. Tali disturbi dovrebbero essere curati con una terapia mirata e più efficace quando va a “aggiustare” gli organi disfunzionali evitando un intervento tout court sull’apparato psichico.
Tornando alle sensazioni che la persona prova quando assume antidepressivi del tipo SSRI, nella mia esperienza clinica ho notato che alcuni hanno la tendenza ad un eloquio, un atteggiamento, gesti e comportamenti un po’ sopra le righe rispetto al contesto. Alcune lamentano una percezione dell’ambiente ovattata e con conseguente esame di realtà alterato.
Coloro che sono caratterizzati da una Personalità con tratti paranoidi ha la tedenza a “dimenticare” e interromperne l’assunzione specialmente quando questa forma di terapia è stata una scelta obbligata o imposta, associandola all’idea dello psicofarmaco o dello psichiatra, alla malattia mentale ed alla “pazzia”. Altri, caratterizzati da tratti ansiogeni, tendono invece ad aumentarne la dose perché preferiscono quello stato di larvata inconsapevolezza, sentendosi incapaci di affrontare e risolvere quella loro condizione con l’impegnarsi con la psicoterapia, che necessita di maggior tempo ma che numerose ricerche hanno dimostrato risultati positivi a lungo termine rispetto all’ingoiare una pillola.
Altri ancora, li alternano o li associano ad alcool o droga, forse ignari o non adeguatamente avvisati dei gravi rischi che corrono. Questo avviene in molti ambienti e non solo nel jet set per sentirsi sempre al top, come fanno molti artisti che sembra vogliano ricreare quella euforica emotività creativa che li aveva resi famosi agli inizi della carriera. Adesso devono fare i conti con dei farmaci che li possono “appiattire” emotivamente. In tal modo, purtroppo, nonostante la notorietà, si ritrovano da soli ed invischiati in questo circolo vizioso che si risolve fin troppo spesso con morte per overdose.
In tutto questo, comprovate ricerche scientifiche in ambito psicologico, mettono in evidenza una rilevante significatività nei risultati di quanto la psicoterapia da sola o associata ai farmaci, riesca ad ottenere esiti migliori e a lungo termine, talora permanenti, rispetto alla sola assunzione farmacologica nel risolvere il disturbo. Il punto essenziale che è emerso è dato da quell’alleanza che s’instaura fra lo psicoterapeuta ed il Cliente nella relazione terapeutica e la Persona non è più sola ad affrontare il problema.
“Non si può non comunicare perché dove non c’è comunicazione non esiste relazione.”
“Le parole comunicano, seducono, ingannano, feriscono, guariscono. Lo sguardo, il gesto, il linguaggio del corpo non mentono.”
“Il silenzio talvolta può uccidere se manifesta il peggiore fra i sentimenti: l’indifferenza.”
Si comunica soprattutto con il corpo. Ci dice molto più della parola e in modo ben più eloquente. I pensieri si mostrano nella gestualità, nel tono della voce, nella distanza o vicinanza degli interlocutori. Negli occhi che esprimono emozioni che scaturiscono dall’anima senza censure o chiedere il permesso d’essere manifestate.
La volontà può in qualche maniera modificare la “voce” del corpo, ma spesso tale rettifica risulta artificiosa. Si deve essere buoni attori per avere un certo controllo su alcune espressioni. Questo è valido se la comunicazione è fatta di presenza così che il destinatario potrà decodificare fra i segnali analogici che partono dal corpo del suo interlocutore. Quindi, dopo una sorta d’euristica subliminale, rilancerà a quest’ultimo ciò che per lui può essere una replica coerente al messaggio ricevuto.
Questo spiega a volte le incomprensioni che possono nascere tra individui di culture diverse se non si dispone di una specie di dizionario che aiuti a comprendere talune differenze. Per esempio il segno di “matto” può essere eseguito con la punta dell’indice contro la tempia, o muovendo di taglio la mano davanti agli occhi, o, ancora, con il pugno chiuso che batte sulla fronte. Mentre il segno “OK”, fatto con indice e pollice a formare una “O” per gli italiani e per gli americani significa tutto bene mentre lo stesso segno per i Giapponesi significa denaro, per i Francesi nullità e per i Greci è un insulto. Quando ci troviamo di fronte a una comunicazione digitale come può esserlo un discorso scritto, allora non potremmo disporre di questa sorta di intuito e scoprire per tempo eventuali menzogne.
Il linguaggio del corpo o comunicazione non verbale ha un peso di oltre l’80% nella relazione fra due o più interlocutori. Le parole rappresentano, quindi, solo una piccola parte della comunicazione. L’espressività corporea, alias la comunicazione analogica, vive quasi di una vita propria e si attiva quasi sempre al di fuori del controllo della coscienza.
La comunicazione analogica ha radici arcaiche e la sua validità è molto più estesa e generale perché non si basa sull’apprendimento di un codice, ma su una capacità espressiva congenita di una semantica ben precisa. Si dice “analogica” per via di quei segnali che contengono una qualche rappresentazione o immagine del significato come l’abbraccio protettivo di una madre.
La comunicazione verbale utilizza invece un codice digitale, per cui sono usati dei segni arbitrari o simboli convenzionali che si concretizzano nella parola scritta o orale. Anche nella comunicazione non verbale spesso c’è una certa convenzionalità e questo dipende dalla cultura d’appartenenza che modula i comportamenti dei suoi membri.
La comunicazione, quindi, non è un semplice trasferimento di dati ma è un processo circolare e continuo tra coloro i quali s’influenzano reciprocamente. E’ una sorta di cornice di senso che circonda la conversazione, sia che essa si svolga fra specie diverse come animali e uomo, in ambiti con utenti di universi multimediali virtuali o nella relazione fra terapeuta e cliente.
(Laura De Pasquale Psy Dr)
Riferimenti bibliografici:
“Come ogni mattina al risveglio, nella penombra della mia camera notavo appena le sagome dell’arredamento. Mentre riprendevo coscienza della realtà che mi circondava con un senso di benessere, per quel che intravedevo. Così stabile che mi rassicurava nella quasi incoscienza e la memoria ancora un po’ addormentata, mi diceva che ero in un luogo familiare e che era lo stesso nel quale ero scivolata nel sonno ore prima. Ma improvvisamente ho spalancato gli occhi con un senso di angoscia come per volermi accertare che non sognassi ancora! Da qualche parte nella mia memoria si erano riaffacciate delle immagini viste in TV. Improvvisamente vedo tante persone che guardano le macerie della propria abitazione crollata o spazzata via dalla Natura. Persone diverse ma con lo stesso sguardo sperso e disperato cercano tra i ruderi ancora in piedi. Dove si intravedono brandelli di suppellettili coperti di polvere che poco tempo prima erano arredi ed oggetti che adesso avevano l’apparenza di taciti e feriti testimoni della vita in quella casa ormai distrutta. Ho immaginato se questo fosse successo a me, sopravvissuta, quasi catatonica a guardare intorno a me la distruzione, intenta a cercar disperata tra le confuse macerie della mia casa! E appena mi fossi sentita cingere le spalle da qualcuno pronto a consolare il mio dolore. Sostenermi per riprendere il respiro di una rinascita, sulla via della speranza e del futuro.”
Quasi tutti i giorni ci giunge notizia della scoperta di geni iscritti nel nostro DNA preposti per questo o quel comportamento. Certune qualità, vizi, predisposizioni a dare o ricevere benessere come evidenziato da recenti ricerche sul gene dell’egoismo.
Tutto questo implica però che esista pure il gene dell’altruismo che, a ben vedere, è molto più funzionale se distribuito ad ampio raggio. Riflettevo quanto l’altruismo e la generosità che animano i volontari di ogni paese nel mondo, siano una risorsa indispensabile e quanto promuova benessere individuale o collettivo, nel tentativo di riportare un equilibrio a ciò che è stato compromesso da un evento drammatico.
Volontari che, nella vita quotidiana, si prendono cura di chi è malato, o impossibilitato a raggiungere un ospedale, o un pronto soccorso, o un ambulatorio. Che si prodigano instancabilmente nell’assistenza anche dei tanti animali reietti, feriti, affamati e “orfani”.
A quei volontari attivi nelle catastrofi ambientali i quali condividono le stesse difficoltà degli sfollati, nel vivere dentro una tenda con una brandina per letto e che condividono per un certo periodo le stesse drammatiche difficoltà. Ma che a differenza di chi ha perso la propria casa o i propri affetti, una casa e degli affetti li hanno da qualche parte che li attendono, finita la loro missione.
Promuovere benessere è rendere onore all’altruismo e di riflesso a tutte le persone portatrici di quel gene, così disinteressate, generose, magnanime, preziose risorse fondate sull’amore e la volontà, grazie a ciò che veramente ci appartiene: il proprio tempo.
Se dovessero essere ripagati in moneta o regolarmente stipendiati, non ci sarebbero risorse economiche sufficienti. Questo porta ad un’ulteriore riflessione sul gene dell’egoismo così indivisibile dalla parola “economia”. Per avidità e profitto si è economizzato su materiali edili e la sicurezza delle costruzioni, favorendo così ancora morte e distruzione. Tutto questo, in una visione amplificata, porta necessariamente a pensare a ben altra “economia” e alla crisi su scala mondiale. Dove uno dei significati del termine “economia” parla di “attività umana volta a mettere a frutto beni e risorse naturali per la produzione e distribuzione della ricchezza sulla società“. Ma se adesso dobbiamo fare i conti con una crisi tanto vasta, cos’è che è andato storto? Un’economia fondata sullo sfruttamento esasperato delle risorse del Pianeta piuttosto che sul suo buon uso e proficua distribuzione, essa non farà altro che promuovere malessere e incertezza nel futuro, dal momento che i Molti, istigati dai Pochi a mirare al superfluo, nell’accumulare sempre più avidamente, ciechi ed incapaci d’essere contenti di quel poco di più del necessario.
Tutto questo non fa altro che sottolineare quanto sia essenziale ed auspicabile una maggior cura della relazione fra le persone. Unite non da “valori” che abbiano impressi simboli numismatici, ma da quei valori tesi alla comprensione, al sostegno reciproco, per promuovere così salute e benessere, non solo per gli Stati dei quali siamo membri ma a tutto quanto il Pianeta sul quale siamo ospiti.
(Psy Dr Laura De Pasquale)
Le emozioni ci attraversano continuamente, in ogni istante della vita. Sentiamo spesso la necessità di ricercarle nelle più disparate attività, quali il cibo, il sesso, la musica, la lettura, l’arte, in sport estremi, nell’assunzione di sostanze psicoattive e quant’altro, affinchè il nostro sistema nervoso rilasci tutta una serie di neurotrasmettitori come endorfine, adrenalina, dopamina che stimolino ulteriori sensazioni.
Cosa sono le emozioni e a cosa servono?
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a stimoli naturali o appresi. Sono necessarie alla sopravvivenza dell’individuo rispetto sia all’ambiente esterno che a quello interiore. In termini evolutivi la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si renda necessaria una risposta immediata che non utilizzi processi cognitivi ed elaborazione cosciente.
Le emozioni si possono suddividere in primarie (gioia, tristezza, paura, rabbia, sorpresa, disgusto, interesse) e secondarie (vergogna, colpa, imbarazzo, disprezzo, timidezza, orgoglio). Queste ultime si distinguono perchè legate all’autoconsapevolezza mentre le primarie sono più istintive ed immediate; geneticamente predeterminate così da essere manifestabili già alla nascita dell’individuo, mentre le secondarie sono ascrivibili più ai sentimenti.
Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione auto regolatrice quale comprensione di tali modificazioni. Gli stimoli che le attivano hanno un carattere fisso nei meccanismi istintivi negli animali come osservato dagli etologi. Nei primati e nell’uomo la maggiore plasticità cerebrale consente la fase di “apprendistato emozionale”, in cui la risposta emotiva allo stimolo rimane invariata, ma se fosse conveniente per l’individuo, questi può parzialmente controllarla e/o dissimularla.
(Laura De Pasquale, Psy Dr)
Rif. bibliografici:
Rosenweigh, M. R., Leiman, A. L., Breedlove, M. S., (1996). Biological Psychology, Sinauer Associates Inc. Ed it. Psicologia Biologica, Casa Editrice Ambrosiana, Milano
“Prima che la mente lo comprenda, il cuore già lo sa”. Cuore inteso quale sede emotiva o luogo designato del percepire corporeo. Dove si provano le emozioni con tutta una serie di sensazioni che s’irradiano e risalgono istantaneamente per essere esternate nelle tipiche espressioni del viso, la postura, il tono della voce. In seguito la mente darà un significato simbolizzando quelle emozioni appena percepite. Anche un odore, un sapore, un’immagine, un suono, il toccar qualcosa di ruvido o morbido, stimolando prima i nostri organi di senso li trasforma da sensazioni in emozioni e di seguito anche in sentimenti. Come succede da millenni quando quel corpo apparteneva ancora ai nostri progenitori che mancando di parola per esprimere un concetto, avevano questo mezzo efficace per comunicare al simile quel che li colpiva dell’ambiente circostante o percepiva dentro di sè. Un mezzo così necessario per la sopravvivenza e la crescita del singolo e della comunità di appartenenza.
Recenti ricerche scientifiche hanno evidenziato che proviamo emozioni ben prima della nostra nascita. Vi è un cambiamento di stato per es. quiete/attivazione o spiacevole/piacevole quando il feto, risponde ad un gesto o un suono che attraversando il liquido amniotico nel quale è immerso, va a stimolare alcuni dei suoi recettori sensoriali. Gli organi di senso si sviluppano intorno all’ottava settimana di gestazione per il tatto, tra la tredicesima e la quindicesima per gusto e olfatto e la venticinquesima per l’udito, mentre la vista si svilupperà necessariamente dopo la nascita.
Le emozioni si provano fino alla nostra morte e alle quali siamo ancor più sensibili quando la nostra componente cognitiva deve fare i conti con sindromi come quella di Alzheimer. La quale, compromettendo la memoria, ne compromette a sua volta pure la coscienza. Saremmo forse “non in grado di intendere e volere” ma saremmo ancora più “in grado di sentire e di provare”.
Emozioni e sentimenti riescono a riverberarsi intorno a noi in coloro i quali ci stanno aspettando per darci il benvenuto in questo mondo, nel momento del commiato dopo la nostra morte e talvolta perfino indirettamente per la notorietà delle nostre imprese. Talvolta si sente dire: “ha compiuto il gesto in un raptus” oppure “non è/era in grado di intendere o di volere” per sottolineare la momentanea o permanente perdita di volontà o di controllo di taluni impulsi, quasi a sottolineare quanto il nostro sistema nervoso autonomo, non mediato dalla razionalità, possa essere influente sul nostro agire.
Durante la vita le emozioni si strutturano in qualcosa di più duraturo e persistente chiamato sentimenti che permetteranno alla persona di sviluppare una sorta di apprendistato emozionale che la renderanno consapevole di riconoscerli, comprenderli e gestirli in sè e negli altri.
(by Admin)
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Elemento centrale del mio pensiero come di Carl Rogers candidato al premio Nobel e creatore della terapia centrata sulla Persona, è la fiducia nella “tendenza attualizzante“.
E’ un sistema propulsore, una forza motrice che motiva e porta l’individuo ad affrontare le difficoltà e a condurlo ad una crescente autonomia, maturità e realizzazione.
È una tendenza ad ottimizzare tutte le potenzialità già insite in un organismo vivente, sia esso Persona, animale o pianta. E’ una spinta verso l’adattamento, la crescita, la salute, verso, cioè, quella che si definisce realizzazione di sé, con un continuo “ascolto e riadattamento” omeostatico fra l’individuo e il suo organismo. È un’energia presente in ogni essere vivente che racchiude una tenace volontà a vivere, a conservarsi, ad esplorare l’ambiente modificandolo se necessario per migliorarlo e migliorarsi.
La tendenza attualizzante è ostacolata dall’attivazione di processi psichici di difesa disfunzionali al suo sviluppo quando si sono assimilati costrutti, idee, pensieri, sentimenti, valori altrui o dovuti anche al vivere in un ambiente ostile. Tutto questo porta la Persona ad una tensione ed ansia che tendono a bloccare quelle spinte funzionali alla sua realizzazione e crescita. La Persona perde così il contatto con sé e con la sua autenticità, diventando incongruente con se stessa, come se avesse perduto la bussola che la possa guidare nel territorio delle sue esperienze.
Per Rogers è il Cliente il centro del processo terapeutico. Nella relazione terapeutica è lo psicoterapeuta che conduce questa sorta di danza per far acquisire quell’armonia ed equilibrio necessari alla sua crescita. Nessuno meglio del Cliente conosce il territorio delle proprie esperienze ma del quale ha perso i riferimenti. Al terapeuta il compito di esserne una sorta di bussola, che gli permetta di ritrovar la direzione in quel territorio, col Cliente che riesce a riappropriarsi di quelle innate risorse, che sono racchiuse nella tendenza attualizzante. Tutto questo gli permetterà di promuovere, ritrovare e sviluppare salute e benessere, ed essere quello che realmente è.
(Laura, Psy Dr)
Rogers, C.R. (1942) Counseling and psychotherapy, Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. Psicoterapia di consultazione, ed. Astrolabio, Roma, 1971.
Rogers, C.R. (1951) Client Centred Therapy, Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. Terapia centrata sul cliente, ed.La Meridiana, Bari, 2007.
Rogers, C.R. (1961) On becoming a person: A Therapist’s View of psychotherapy Houghton Mifflin Company, Boston MA, trad. it. La terapia centrata sul cliente, ed. Martinelli, Firenze, 1970.
Rogers, C.R. (1980) A Way of Being, Boston, Ma. Houghton Mifflin Co. trad.it. Un Modo di Essere, Martinelli , Firenze, 1983.
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